Campagna di falsità imbastita dalla stampa di regime
L'inganno della “riforma” fiscale di Draghi
Aumentate le diseguaglianze, premiati i più ricchi, liquidata la progressività della tassazione

Proprio in questi giorni Oxfam, la confederazione internazionale di organizzazioni no profit impegnate nella lotta alla povertà globale, ha pubblicato un rapporto in cui si denuncia che la pandemia ha prodotto un forte aumento delle già mostruose disuguaglianze tra ricchi e poveri. In questi ultimi due anni, scrive infatti Oxfam, oltre 163 milioni di persone sono precipitate in condizioni di povertà assoluta, costrette a vivere con meno di 1 dollaro al giorno. Mentre allo stesso tempo i 10 uomini più ricchi sulla Terra hanno ingigantito le loro fortune di 821 miliardi e detengono una ricchezza sei volte superiore al patrimonio del 40% più povero della popolazione mondiale, composto da 3,1 miliardi di persone.
Anche in Italia, nei 21 mesi tra marzo 2020 e novembre 2021, il numero dei miliardari italiani è aumentato di 13 unità e il valore aggregato dei patrimoni dei super ricchi è cresciuto del 56%, pari a 185 miliardi alla fine di novembre. Ciò anche grazie – sottolinea il rapporto – alla vantaggiosa legge sulle plusvalenze delle partecipazioni azionarie, tassate solo dell'11%, che rende il nostro Paese molto “ospitale” per chi possiede quote di controllo di società ad azionariato diffuso.
A ciò andrebbe aggiunta la legislazione scandalosa sulla tassazione delle eredità e delle donazioni in vita, che secondo un recente studio di tre ricercatori italiani sulla “concentrazione della ricchezza personale 1995-2016”, è tra le più basse al mondo e dimezzata rispetto agli anni '90; e che su lasciti oltre i 10 milioni di euro applica un'aliquota di appena l'1%, tanto che la quota che questi rappresentano è salita al 15% del reddito nazionale, raddoppiata dal 1995. Senza contare, ovviamente, la vera specialità italiana rappresentata dalla colossale evasione fiscale, che a seconda delle stime si situa tra i 120 e i 200 miliardi l'anno.
 

Una “riforma” fiscale che aumenta le disuguaglianze
È questa la degna cornice in cui si è inserita la “riforma” fiscale di Draghi, ispirata dal suo consigliere economico ultraliberista, Giavazzi, e allineata con le raccomandazioni della commissione Finanze della Camera presieduta dal renziano Marattin, unanimemente schierata per destinare i pur modesti 8 miliardi stanziati in bilancio per il 2022 all'alleggerimento delle tasse per il cosiddetto “ceto medio”. Di questa “riforma”, delineata in un Disegno di legge delega, fa parte integrante la “riforma” del catasto, ridotta per la feroce opposizione del “centro-destra” ad una pura “indagine conoscitiva” dello stato attuale del patrimonio immobiliare, che durerà almeno 5 anni, e soprattutto sarà senza ripercussioni sulle tasse sulla casa, mai aggiornate dagli anni '70. Ci sono poi la cancellazione dell'Irap del costo di 1 miliardo di euro ad 850 mila persone fisiche e professionisti, e la “riforma” dell'Irpef per 7 miliardi a lavoratori dipendenti, autonomi e pensionati. Queste ultime due misure sono recepite dalla legge di Bilancio 2022 approvata a fine anno.
La “riforma” dell'Irpef consiste nella riduzione da 5 a 4 degli scaglioni di reddito imponibile e nella rimodulazione delle relative aliquote fiscali, come mostrato dalla tabella di figura 1.

Ne abbiamo già parlato nel n. 44/2021, mettendo in evidenza come questa vera e propria controriforma non inverta affatto, fosse anche di poco, la tendenza allo spaventoso aumento delle disuguaglianze degli ultimi decenni, accentuatesi ulteriormente con la pandemia; ma addirittura la consolidi, operando una detassazione a favore dei redditi medio-alti - dirigenti, professionisti, pensionati di alto livello e impiegati - e riducendo ulteriormente la già ridottissima progressività dell'imposta. Mentre concede solo briciole o lascia del tutto a bocca asciutta la stragrande maggioranza dei lavoratori e pensionati, che per l'80% stanno al di sotto dei 35 mila euro di reddito e che contribuiscono per il 90% al gettito dell'Irpef. Adesso ci proponiamo di smascherare il grande inganno politico-mediatico che ha accompagnato il varo di questa iniqua e regressiva “riforma”.

 

I falsi dei grandi media al servizio di Draghi
Prima e dopo lo sciopero generale di protesta del 16 dicembre proclamato da Cgil e Uil, la grande stampa borghese, su imbeccata del governo, ha imbastito infatti una sporca campagna a sostegno della controriforma dell'Irpef, cercando di dimostrare che essa va prevalentemente a vantaggio dei lavoratori e pensionati delle fasce di reddito più basse. A tale scopo si è fatto ricorso alla manipolazione dei dati mettendo in un unico calderone non soltanto la rimodulazione degli scaglioni e delle aliquote Irpef, la revisione delle detrazioni per lavoratori dipendenti e pensionati e il riassorbimento nelle detrazioni stesse del bonus Renzi da 80 euro fino a 28 mila euro di reddito (poi aumentato a 100 da Gualtieri, con l'aggiunta di altre piccole detrazioni fino a 54 mila euro).
Ma anche altre entrate disomogenee come il taglio di 0,8 punti dei contributi previdenziali per i lavoratori dipendenti fino a 35 mila euro, pari a 1,5 miliardi, che non può essere preso in considerazione nel raffronto col regime precedente, perché si tratta di una misura una tantum, valida per il solo 2022, e concessa solo per tacitare i sindacati. Così come il nuovo assegno unico per i figli a carico, che non c'entra nulla con la “riforma” fiscale perché è una misura sociale e dipende dal numero di figli e dall'Isee; senza contare che non pochi lavoratori ci rimetteranno rispetto ai vecchi assegni familiari, e la “clausola di salvaguardia” che dovrebbe rimediare a ciò è una truffa perché valida solo per un anno e non per tutti.
È grazie a simili espedienti truffaldini, per esempio, che il crumiro Luigi Sbarra, segretario della Cisl, ha potuto dichiarare con suprema faccia tosta al Corriere della Sera del 4 dicembre di “apprezzare” da parte del governo, oltre al taglio dei contributi per 1,5 miliardi, “un intervento realmente redistributivo a favore dei ceti popolari, che integra altre misure importanti come 7 miliardi, a regime, di taglio dell'Irpef concentrato sulle fasce di reddito sotto 50 mila euro, con dipendenti e pensionati che beneficiano, in questa fascia, dell'85% delle risorse destinate al taglio dell'imposta”.
In quest'opera di falsificazione della realtà si sono particolarmente distinti i due più importanti quotidiani filo draghiani come il Corriere della Sera e La Repubblica . Quest'ultimo, per esempio, pubblicando un grafico di fonte governativa (vedi figura 2) che dovrebbe dimostrare come la revisione delle aliquote, cumulata con la rimodulazione delle detrazioni e il bonus da 100 euro, vada a tutto vantaggio dei redditi più bassi. Addirittura la curva dei benefici avrebbe un picco di 1.500 euro in corrispondenza dei 15 mila euro di reddito per poi calare gradualmente verso i redditi medio-alti. In realtà si tratta di una rappresentazione del tutto falsa, in quanto da questo gennaio il bonus da 100 euro viene riassorbito nelle detrazioni restando tale solo per i redditi fino a 15 mila euro, per cui la vera curva dei benefici, se si vuol restare a questo grafico, si ridurrebbe solo alla parte in rosso. Dal che si vedrebbe che in realtà i benefici sono concentrati nella fascia oltre i 35-40 mila euro.

A chi vanno i benefici della controriforma
Per capire meglio la vera distribuzione dei benefici (per singoli individui, il solo raffronto possibile tra il vecchio e il nuovo sistema), conviene far riferimento ad un grafico pubblicato da Lavoce.info da noi rielaborato (vedi figura 3), che riporta le curve degli sgravi fiscali reali per dipendenti (verde), pensionati (blu) e autonomi (rossa) e che incorporano già le tre variabili: aliquote, bonus e detrazioni. Le tre curve colorate partono dal livello zero, equivalente alla no tax area, che è stata portata a 8.145 euro per i dipendenti, 8.500 per i pensionati e 5.500 per gli autonomi. La curva nera rappresenta gli sgravi che si sarebbero avuti per effetto della sola revisione delle aliquote, senza la rimodulazione delle detrazioni e il riassorbimento del bonus.
Basta un solo sguardo per notare che, se è vero come sostiene Lavoce.info che “nessuno ci rimette”, è anche evidente che per tutte e tre le categorie di contribuenti il grosso dei vantaggi è concentrato nella fascia dai 35-40 mila euro in su. In particolare le curve di pensionati e autonomi seguono l'andamento della curva nera (ma più in basso) con un picco sui 50 mila euro, rispettivamente di 758 e 810 euro di sgravi; mentre la curva dei lavoratori dipendenti ha il picco sui 40 mila euro, per effetto della correzione apportata con la rimodulazione delle detrazioni, corrispondente ad un guadagno massimo di 945 euro.
Tutte e tre le curve hanno un calo netto man mano che si scende verso le fasce di reddito più basse, per effetto della minor incidenza della rimodulazione delle aliquote non compensata dall'aumento delle detrazioni, con le curve di pensionati e dipendenti che toccano il minimo intorno ai 28 mila euro, corrispondente ad un guadagno di solo 100 euro per i pensionati e addirittura zero per i dipendenti. Per poi risalire leggermente nella fascia intorno ai 15 mila euro, grazie soprattutto all'effetto del bonus, rispettivamente un po' sopra i 200 e i 300 euro. Da notare comunque che, a partire dalla fascia tra i 20 e i 25 mila euro e fino ai 40 mila euro la curva nera sovrasta nettamente le tre colorate: vale a dire che per i redditi medio-bassi la rimodulazione delle detrazioni produce addirittura un depotenziamento della riduzione della seconda e terza aliquota fiscale: arrivando praticamente ad annullarla per i lavoratori dipendenti.
Riassumendo, con la rimodulazione delle detrazioni il governo ha spostato (ma solo per i lavoratori dipendenti) verso i 40 mila euro il picco dello sgravio fiscale che per la revisione delle sole aliquote sarebbe stato più in alto, sui 50 mila euro. E grazie al riassorbimento del bonus da 100 euro ha rialzato leggermente lo sgravio per i redditi più bassi, sotto i 20 mila euro, con un picco sui 15 mila. Ma tutto ciò a scapito della fascia medio-bassa tra i 20 mila e i 40 mila euro di reddito, e mantenendo sostanzialmente invariata la forte concentrazione delle risorse a vantaggio dei redditi medio-alti.
 

Il report dell'Ufficio parlamentare di bilancio
Questa semplice verità, che sbugiarda tutte le tesi truffaldine del governo e dei grandi media tese a dimostrare che la “riforma” dell'Irpef avvantaggia soprattutto i redditi medio-bassi, è stata confermata anche dall'Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), con un report pubblicato proprio nei giorni dell'approvazione della legge di Bilancio 2022 che incorpora la “riforma” stessa. Il report analizza soprattutto la distribuzione degli sgravi fiscali per categorie di contribuenti e per fasce di reddito imponibile. In termini generali lo sgravio medio è di circa 190 euro per i lavoratori dipendenti, di 178 per i pensionati e di 105 per i lavoratori autonomi. Tra i lavoratori dipendenti la riduzione media di imposta è più elevata per i dirigenti (circa 368 euro), seguita da quella degli impiegati (266 euro) e infine degli operai (162 euro).
La distribuzione degli sgravi per fasce di reddito si può osservare invece nel dettaglio dalla tabella di figura 4, ottenuta rielaborando una simulazione dell'UPB, che per ciascuna fascia riporta la relativa percentuale dei contribuenti sul totale e la relativa ripartizione delle risorse pari a 7 miliardi, sia in percentuale che in valore assoluto.

Il primo scaglione tra 0 e 6 mila euro, costituito quasi interamente di incapienti, non ha nessun guadagno. Il secondo tra 6 e 12 mila euro, che raggruppa il 19% dei contribuenti, ottiene solo il 6,7% delle risorse, pari a 470 milioni, mentre lo scaglione più alto, tra 42 e 54 mila euro, che ha appena il 3,3% dei contribuenti, ottiene ben il 14,1% delle risorse, pari a circa 1 miliardo. Da notare che persino i redditi superiori a 54 mila euro, che riguardano solo il 4,3% dei contribuenti, ottengono nel complesso una quota di risorse (9,6%, pari a 670 milioni) superiore ai primi due scaglioni messi insieme (0-12 mila euro), che assomma viceversa ben il 36,9% dei contribuenti.

Osservando la parte inferiore della tabella 4, in cui la distribuzione delle risorse è articolata per macro-scaglioni, si nota che la stragrande maggioranza dei contribuenti, l'81,7%, è concentrata nella fascia di reddito medio-basso fino a 30 mila euro. Ciononostante la quota di risorse che gli tocca è solo poco più della metà del totale (3,97 miliardi). E si può notare anche che mentre la fascia bassa da 0 a 18 mila euro raggruppa oltre la metà dei contribuenti, ottiene invece solo poco più di un quarto delle risorse (1,9 miliardi). E viceversa, la fascia medio-alta tra 30 e 54 mila euro, con appena il 14% dei contribuenti ottiene ben un terzo delle risorse complessive, pari a 2,36 miliardi.
 

La “riforma” fiscale di Draghi ignora le famiglie più povere
Il report dell'UPB analizza anche gli effetti della “riforma” per decili (10 intervalli del 10% ciascuno) di reddito familiare equivalente, tenuto conto di tutte le risorse disponibili ai membri del nucleo familiare, imponibili ed esenti, e delle economie di scala connesse all'ampiezza della famiglia. Il risultato è il grafico di figura 5. Dal quale si vede che la “riforma” produce un aumento di reddito crescente man mano che si sale dalle famiglie più svantaggiate a quelle più benestanti. E che il 10% più ricco beneficia di più di un quinto delle risorse (21,8%), poco meno di quanto beneficia il 50% delle famiglie meno ricche, che si spartiscono solo un quarto delle risorse stanziate.
Ma soprattutto si vede che i primi due decili sommati insieme, ossia il 20% delle famiglie in condizione economica meno favorevole, con appena l'1,2% delle risorse sono sostanzialmente escluse dai benefici della “riforma”. “Ciò implica – conclude il report dell'UPB – che se le future politiche sociali vorranno ulteriormente sostenere i redditi delle famiglie più povere dovranno affidarsi a strumenti diversi dall'Irpef, quali trasferimenti monetari diretti o meccanismi di imposta negativa”. Un modo indiretto per dire che, ammesso che la “riforma” fiscale di Draghi si proponesse di riequilibrare il prelievo fiscale a favore dei ceti medio-bassi, ha fallito in pieno l'obiettivo.


19 gennaio 2022